Ripropongo un articolo del settembre 1995 che racconta le primissime mie esperienze personali (datate 1984!) con il mondo Macintosh.
Il Macintosh del 1984 con disco rigido esterno Rodime da 20MByte
Correva l'anno 1984.
Preceduto da un battage pubblicitario eccezionale per l'epoca (ma nulla a che vedere, si intende, con il lancio di Windows 95 di questi giorni), vedeva la luce Macintosh di Apple Computer.
La casa di Cupertino, dopo gli straordinari successi della "mela" Apple // , ma anche dopo gli insuccessi commerciali di Apple /// (proposto come macchina gestionale, con il sistema operativo SOS e il disco rigido Profile, non riuscì mai a sfondare) e di Lisa (un computer con il mouse e un'ottima interfaccia grafica che non decollò perché forse troppo innovativo rispetto ai tempi), presentava Macintosh, la mela più buona della California, come un prodotto che avrebbe letteralmente rivoluzionato il concetto di personal computer.
Il mondo dell'Informatica viveva un boom costante: Apple, insieme con i suoi compatibili alla frutta (come non ricordare con un sorriso i vari Lemon //, Orange, Mandarine, Pinapple?) aveva ancora un certo peso nel panorama informatico italiano, ma cresceva sempre più in fretta il mondo Ms Dos ( si proprio lui, il mitico, allora in versione 2.0) e i Pc IBM e compatibili (con tanto di cloni e cinesi no-name) basati sull'architettura Intel si avviavano a conquistare il primato assoluto del mercato dei personal computer.
A giudicarlo oggi, l'hardware era povero (ma allora pensavamo che fosse ricchissimo, considerandone il costo!): con il leggendario e ormai obsoleto microprocessore Z80 su cui si basavano le macchine CP/M, con l'attempato 6502 dell'Apple //, del Commodore 64 e del Vic 20 e i nuovi ma non irresistibili 8088 della famiglia Intel 80XX, con le memorie Ram da 64 a 256 kB, i floppy disk da 140 o 360 KB e i dischi rigidi da 5 MB che costavano quanto una Fiat 126.
In tale contesto l'annuncio di una macchina innovativa come Macintosh, presentata sulla scia del sorprendente Lisa, che a ragione può esserne considerato il padre ma che pochissimi conoscevano direttamente, suscitò in tutti gli addetti ai lavori, una grande curiosità.
Per la presentazione ufficiale di Macintosh ai propri rivenditori in Italia, Apple Computer, che da poco era subentrata alla Iret Informatica di Reggio Emilia, fece le cose in grande: una delle convention si svolse nel maggio del 1984 in un famoso Hotel di Roma a 5 stelle e noi rivenditori (chi scrive faceva parte dello Studio Proteo di Teramo) avevamo diritto ad un corso introduttivo al mondo di Mac e a portarci via il cosiddetto bundle primo Mac, una volta terminata la convention, alla modica cifra di..( ma questo è un banale dettaglio).
Eravamo uno stuolo abbastanza nutrito, giovani e meno giovani, forti ciascuno di fatturati a 9 cifre (si fa per dire) di macchine e periferiche Apple: appena entrati nel salone della convention, uno stuolo altrettanto nutrito di fiammanti Macintosh e di stampanti Image Writer, con il loro inconfondibile profumo (si, proprio così, l'odore della plastica di Mac era quasi una...fragranza alla mela), faceva bella mostra di sé sui tavoli e le icone in evidenza ci chiedevano di cominciare a provare.
Noi più giovani ci buttammo nell'avventura senza pensarci due volte e giù a puntare, cliccare, aprire, chiudere icone, finestre, a fare delle tremende "paintate". Tutto veniva naturale: il mouse era uno strumento docile nelle nostre mani e ci faceva comunicare con Mac in maniera semplicissima e intuitiva.
L'entusiasmo era tale che solo dopo alcuni minuti ci accorgemmo che Macintosh, oltre ad avere il mouse, era un computer completamente diverso dagli altri.
Innanzitutto nella forma: un blocco unico a mò di parallelepipedo con incorporati la piastra madre, il monitor a 9 pollici in bianco e nero, la memoria di massa costituita da un disk a 3,5 pollici (per quei tempi un'assoluta novità), due connettori per una stampante e un modem, e una spartana tastiera esterna collegata con un cordone.
Quindi nella grafica che per la prima volta svolgeva il ruolo di interfaccia tra il computer e l'operatore: non più comandi da imparare faticosamente, ma semplici ed intuitive azioni fatte col mouse su immagini grafiche esplicite, le icone appunto.
Infine nel Sistema Operativo. Abituati ai vari CAT e DIR di dossiana o cpm-ana (!?) memoria, fummo abbastanza sorpresi nell'accorgerci che per avere l'elenco dei files bastava selezionare con il mouse la voce esposizione e cliccare: fummo addirittura sbigottiti quando qualcuno più informato ci avvisò che per cancellare un file non bisognava usare il comando ERA o KILL (spero di non fare confusione con questi comandi preistorici) ma bastava selezionare con il mouse l'icona corrispondente e trascinarla dentro al cestino della spazzatura!
Insomma, il prodotto che avevamo per le mani era qualcosa di veramente innovativo e sorprendente.
Ma non mancavano naturalmente gli scettici..
Io ebbi la ventura di sedere a fianco di uno dei meno giovani del gruppo che, mentre provava ad usare distrattamente il mouse, mi confidò che prima di approdare al mondo dei personal computer aveva lavorato nel nobile campo gestionale occupandosi di procedure per distributori di bevande gasate o qualcosa del genere. Con una certa enfasi mi raccontò che aveva sempre lavorato su computer con la C maiuscola, per intenderci macchine con soli 32 KRam ma con tavolo incorporato, floppy disk a 8 pollici, e dimensioni enormi, tipo armadio, consone ad un vero computer.
E aggiunse che per lui trovarsi in quel momento a provare quella specie di sofisticato giocattolo era come per la Juventus o il Milan retrocedere in serie B.
Io lo ascoltai senza tralasciare i miei coraggiosi approcci con il Macintosh e non dissi nulla. Ma qualcosa mi faceva storcere il naso: detestavo quelle orribili macchine e immaginavo di quali procedure parlasse il mio simpatico collega, (dello stesso tipo, ahimè!, riciclate sui primi Apple //), con 4-5-6 livelli di menù a cascata, che se da un sottomenù un pò interno volevi tornare a quello principale ti toccava chiamare il 113 oppure consultare il manuale delle istruzioni di 3000 pagine!
Quando un Formatore della Apple entrò nella sala e ci sorprese a smanettare con così grande impegno, capì che con Mac acceso, non sarebbe riuscito a carpire la nostra attenzione durante il discorsetto introduttivo, e ci insegnò rapidamente a terminare il lavoro e a spegnere Macintosh.
Dalle sue brevi parole scoprimmo ulteriormente le qualità di Mac, la sua tecnologia innovativa basata su un microprocessore 68000 a 8 MHz, la allora notevolissima risoluzione grafica di 512x342 pixel e il drive per dischi a 3.5 pollici capace di memorizzare ben 400 kB.
Passammo quindi alla prima sessione di utilizzo pratico di Macintosh e il nostro conduttore propose un gioco curioso: durante l'esercitazione guidata di MacPaint, a suo dire creato appositamente per mettere in luce i pregi di Mac, chi avesse sbagliato o fosse rimasto indietro, avrebbe pagato un whisky. Poca cosa si dirà; ma mi sembra di aver già detto che l'albergo era a 5 stelle, ergo il prezzo di un bicchierino di whisky non doveva essere proprio infimo. Fatto sta che tutti eravamo attenti alle parole del conduttore nel timore di incorrere in qualche fatal error.
Con la coda dell'occhio sbirciavo che cosa faceva il mio vicino (quello delle bibite), due tre volte lo vidi in difficoltà e lo salvai; ora intervenendo con il lazo, ora azionando con rapidità il secchio di vernice e lo spruzzo di spray. Ma non riuscii alla fine ad evitargli la pesante condanna a pagare una decina di Mac Daniel: e gli andò bene perché altri colleghi subirono delle Waterloo ben più pesanti.
Con tali amenità e con gustose risate, la sessione si svolse in grande allegria, e terminò con una colossale bevuta finale a spese dei distratti e degli scettici.
Il giorno dopo fu la volta di MacWrite. Che cosa dire? Ricordo che in un attimo dimenticammo i programmi di video scrittura dell'epoca (di cui infatti non ricordo con esattezza i nomi), capimmo che cosa volesse dire la parola magica WYSIWYG e imparammo ad usare il mouse per attivare i menù, per cambiare caratteri, stili e formato del documento, per immettere intestazioni e piè di pagina, per cancellare, spostare e inserire parti di testo per mezzo degli strumenti del taglia ed incolla. Semplicemente, senza dover ricordare comandi enigmatici e senza lasciare tracce estranee sul foglio.
Il lavoro fu improntato a grande e festosa cordialità perché tutti eravamo coinvolti dalla simpatia di quell'insolito piccolo-grande computer.
Aleggiarono, bisogna dirlo, anche dei dubbi legittimi: mancavano quasi del tutto le applicazioni, non c'era a corredo un linguaggio di programmazione in quanto, si diceva: "la macchina deve essere solo utilizzata", la memoria Ram era esigua e un solo drive (anche se il meccanismo di espulsione del disco era automatico) costringeva a farraginose operazioni di scambio dei dischetti.
Ma il mouse e i menù a tendina, le icone e il desktop, il pennello e il cestino, ci avevano conquistato e la nostra mente era ormai aperta alla nuova filosofia di lavoro introdotta da Macintosh; e alla fine anche i più scettici, (compreso il mio amico delle bevande che si era completamente ravveduto a suon di whisky) erano dalla parte di Mac.
Da allora sono passati undici anni, tanti in assoluto ma una enormità per il mondo dell'Informatica; il modo di lavorare di quel Macintosh ha fatto breccia e non c'è oggi applicazione di un certo livello che non utilizzi un'interfaccia grafica simile a quella che Macintosh realizzava con grande naturalezza già tanti anni fa.
Lo stesso Macintosh si è evoluto attraverso altri fortunati modelli (il Plus, l'SE, il Macintosh II, il Macintosh LC, i Powerbook e i PowerMacintosh) fino a diventare del tutto differente per tecnologia e prestazioni da quella prima macchina.
Ma sarà perché quel primo Mac, figlio di Lisa e progenitore degli attuali PowerMac, segnò una svolta nel campo dell'informatica personale; sarà anche per la spensieratezza di quei giorni romani e perché allora gli anni erano verdi davvero, ma quel piccolo, simpatico e glorioso Mac 128 K io non l'ho mai dimenticato.
E' proprio vero: il primo Mac non si scorda mai!